Non può esserci sviluppo senza equità e per questo la questione fiscale, la progressività del sistema, la fedeltà dei cittadini e delle imprese deve essere ripresa. La teoria neoliberista del trickle-down non ha funzionato e non funzionerà. Ora serve il coraggio di non inseguire il consenso di breve periodo per ridare speranza e fiato ad una crescita sostenibile. La proposta di Enrico Letta va in questa direzione. Come spesso capita è stata giudicata nell’angusto spazio della tattica di breve periodo che caratterizza la nostra politica.

Se non fosse così? Me lo auguro perché sarebbe davvero una svolta per tutto il Paese che ha bisogno di recuperare dinamismo sociale e protagonismo delle sue, numericamente scarse, giovani generazioni.

Siamo (forse) di fronte ad una novità sul tema imposte perché non c’è solo la proposta Letta, che ha fatto sostanzialmente propria quella del Forum Diseguaglianze e Diversità sulla dote per i diciottenni da finanziare con una (modesta) imposizione sulle eredità dei grandi patrimoni (oltre i cinque milioni di euro) che trovate qui, ma il G7 ha condiviso l’esigenza di una tassazione minima delle multinazionali e si torna anche a parlare di una riforma complessiva del nostro sistema fiscale.

Il Presidente del Consiglio ha risposto in modo improprio che “è il momento di dare”.

Sono consapevole che criticare Mario Draghi non è di moda, ma vediamo perché secondo me la risposta è sbagliata e risponde solo ad esigenze di tattica politica dettate dall’anomalia di questa formula obbligata di Governo.

La proposta di Enrico Letta, che potete trovare qui, è giusta nel merito e soprattutto impone nel dibattito politico di medio lungo periodo il tema delle disuguaglianze e di cos’è necessario fare per ridurle. Una questione di giustizia sociale ma anche di sviluppo economico.

[…] la disuguaglianza è causa, nonché conseguenza, del fallimento del sistema politico e contribuisce all’instabilità del nostro sistema economico, il quale a suo volta contribuisce ad aumentare la diseguaglianza, in un circolo vizioso che è come una spirale discendente […]

Così il premio Nobel per l’economia Joseph Stiglitz nella prefazione a Il prezzo della disuguaglianza in cui sostiene e dimostra che:

[…] le attuali dimensioni della diseguaglianza […] disturbano realmente la crescita e danneggiano l’efficienza. […] Non sorprende quindi che la nostra crescita sia stata vigorosa nei periodi in cui la disuguaglianza era minore e siamo cresciuti insieme.

L’introduzione al rapporto Oxfam 2018 Ricompensare il lavoro non la ricchezza rende chiaro cosa sia successo in questi anni e a mio giudizio le ragioni della palude in cui ci troviamo.

Nel corso dell’ultimo anno il numero dei miliardari è aumentato come mai
prima: uno in più ogni due giorni. La ricchezza dei miliardari si è accresciuta
di 762 miliardi di dollari nell’arco di 12 mesi, un incremento che, a titolo
comparativo, rappresenta 7 volte l’ammontare delle risorse necessario per far
uscire dallo stato di povertà estrema 789 milioni di persone, Di tutta la
ricchezza creata nell’ultimo anno, l’82% è andato all’1% della popolazione,
mentre il 50% meno abbiente non ha beneficiato di alcun aumento.
Il lavoro pericoloso e scarsamente pagato della maggioranza della
popolazione mondiale alimenta l’estrema ricchezza di pochi. Le condizioni di
lavoro peggiori spettano alle donne, e quasi tutti i super ricchi sono uomini. I
governi devono creare una società più equa attribuendo priorità ai lavoratori
comuni e ai piccoli produttori agricoli anziché ai ricchi e potenti.

Dalla mia esperienza professionale ricavo inoltre che ci sia una correlazione tra la scarsa fedeltà fiscale e il nanismo del nostro sistema imprenditoriale, storico punto di debolezza del nostro Paese.

Ignazio Visco, Governatore della Banca d’Italia, nelle sue recenti raccomandazioni finali non a caso lo ha indicato come fattore di indebolimento della nostra capacità competitiva.

E’ noto infatti che il ns. sistema imprenditoriale, con la lodevole eccezione delle imprese cooperative (forse non a caso), è fatto mediamente da piccole e piccolissime imprese che faticano ad innovare ed a competere perché scelgono come campo da gioco la riduzione dei costi (compresi quelli fiscali) piuttosto che crescere ed innovare.

Insomma meglio non pagare le tasse che diventare una bella impresa.

Così non è per il campo delle imprese coesive che fortunatamente va arricchendosi anche oltre il recinto naturale dell’impresa cooperativa e il cui rafforzarsi, come ben messo in evidenza dal Rapporto Coesione e Competizione realizzato dalla Fondazione Symbola in collaborazione con Intesa San Paolo e Unioncamere, dimostra che un’altra idea di sviluppo è possibile e che territori e imprese coese sono più forti e si rafforzano reciprocamente.

Anche per questo è necessario parlare di tasse e di come devono essere utilizzate.

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