La tesi centrale del libro W la CO2 di Gianfranco Pacchioni è che il ricorso (necessario) alle rinnovabili non sarà sufficiente a mitigare il devastante impatto sull’ecosistema di due secoli di industrializzazione. Infatti il consumo energetico, principale responsabile dell’innalzamento dei livelli di anidride carbonica che causa il riscaldamento globale, continua a crescere. La soluzione, possibile anche se non priva di difficoltà, è combinare la riduzione di emissioni con la cattura e il riutilizzo di CO2.

Cuore di questa ipotesi, che potete trovare qui in un articolo dello stesso autore, è la possibilità di produrre composti di grande utilità, compresi combustibili verdi, combinando idrogeno (ottenuto mediante elettrolisi dell’acqua alimentata da energie rinnovabili) e anidride carbonica. Un processo circolare e virtuoso.

Innovazione, sviluppo ed ambiente possono trovare un’inedita armonia come qui abbiamo già sostenuto.

Confesso che quando nel 2008 a Cooperambiente ascoltai Jeremy Rifkin esporre le tesi sullo sviluppo dell’idrogeno (sistematizzate qualche anno prima in “Economia all’idrogeno“) e sul ruolo che le cooperazione avrebbe potuto svolgere nella produzione distribuita di energia da fonti rinnovabili rimasi affascinato, ma anche un po’ incredulo.

Roberto La Marca di Legacoop Liguria in una delle edizioni di Ecomondo-Cooperambiente

Oggi se guardo allo sviluppo delle comunità energetiche, delle esperienze di produzione di energia da fonti rinnovabili come quella della cooperativa énostra e della cooperativa Bluenergy Revolution vedo una trasformazione in atto in cui il movimento cooperativo può e deve giocare un ruolo da primattore.

Infatti attraverso le comunità energetiche i cittadini hanno la possibilità di associarsi per produrre energia da fonti rinnovabili ed autoconsumarla dando vita a quel modello di produzione diffusa (similmente a quanto avvenuto con l’web) che proprio Rifkin preconizzò.

Qui la guida “Le Comunità Energetiche in Italia” a cura di Enea.

Il modello “naturale” per organizzare le comunità energetiche, per la sua democraticità ed inclusività, è senza dubbio quello cooperativo che potrebbe consentire di associare all’autoproduzione di energia rinnovabile anche la risposta ad altri bisogni economici e sociali della comunità.

In Italia le comunità energetiche possono essere la carta vincente nel cruciale processo di decarbonizzazione. Un loro pieno sviluppo su tutto il loro territorio nazionale può giovare all’ambiente, all’economia, all’occupazione e può favorire soprattutto il processo di decarbonizzazione nei settori termico e dei trasporti.

Queste le dichiarazioni di Legambiente presentando lo studio sul contributo delle Comunità Energetiche alla decorbanizzazione.

Altrettanto interessante e avanzata l’esperienza di Bluenergy Revolution, spin-off dell’Università di Genova, che ha sviluppato H2Boat, un progetto di produzione e stoccaggio di idrogeno per elettrolisi alimentata da fonti rinnovabili (uniche sostanze rilasciate sono ossigeno e acqua distillata) per alimentare i servizi di bordo e la propulsione delle imbarcazioni.

Il prototipo di H2Boat al Salone Nautico 2020 di Genova

Da ingegnere non vedevo molte soluzioni possibili, le fonti di energia rinnovabile come il sole, il vento, le maree sono molto abbondanti ma l’energia che producono è difficile da immagazzinare. Con estrema difficoltà si usano batterie piene di materiali critici, inquinanti, difficili da smaltire, che sono appena sufficienti ad alimentare un’auto, per le navi è impensabile. È stato in quel momento che ho letto il libro “Economia all’idrogeno” di Jeremy Rifkin, aggiungi un pizzico di fantasia, un ambiente stimolante e persone fantastiche al tuo fianco ed ecco che tutto sembra possibile, anche usare l’idrogeno per le navi, anzi, creare una start-up dedicata che lo introduca, anzi, creare un movimento di persone che credano in quello che fanno e siano in possesso degli strumenti necessari per cambiare davvero le cose. E perché fermarsi? Dopo le navi perché non gli ospedali, o le case, o i mezzi di trasporto.

Così Thomas Lamberti in un articolo pubblicato su Coopstartup cui rubo anche l’esortazione finale:

Questo è il momento di cambiare.