Il nostro futuro: un nuovo ecosistema per una città delle opportunità.

L’Alleanza delle Cooperative della Liguria è un’associazione di specie: al suo interno sono presenti, con intensità diversa, tutti i settori imprenditoriali e sociali cooperativi, ovvero imprese che hanno come scopo la mutualità, non la produzione di profitti.

 

Premessa
Pensare il nuovo e cercare spazi di confronto con chi amministra la cosa pubblica, con chi agisce nel contesto economico e sociale per ridare slancio e fiducia al territorio, è il dovere che sentiamo verso le nuove generazioni, è l’ambizione che coltiviamo con l’impegno quotidiano di cooperatori. Per questo abbiamo accolto con fiducia il percorso avviato con gli stati generali dell’economia della città di Genova cui vogliamo contribuire con pensiero ed azione concreta.
La definizione di obiettivi condivisi è infatti presupposto fondamentale al rilancio sociale ed economico della città ed è una sfida che il movimento cooperativo ligure fa propria convinto, per il ruolo che svolge e per quello che potrà svolgere, di poter essere parte importante di un’azione ambiziosa e giusta.
Lo sforzo che dovremo compiere è quello di individuare, nell’ambito di una cornice comune, obiettivi ed azioni misurabili cui ognuno dovrà contribuire ed il cui raggiungimento andrà verificato nel tempo.
La partecipazione, la costruzione e condivisione di un progetto, è uno dei punti di forza che la cooperazione può mettere a disposizione della città, ossia obiettivi condivisi e uno sguardo lungo, di cui Genova ha bisogno più che mai. Nella riprogettazione del welfare, nello sforzo per la tenuta d’intere filiere produttive, nella ricerca di vie nuove allo sviluppo, nell’impegno per essere strumento utile alle giovani generazioni che cercano di costruirsi una risposta al bisogno di lavoro, nella capacità di fornire servizi e fare investimenti per innovare la rete commerciale e non solo, fino all’idea di promuovere una diretta e diversa partecipazione dei cittadini all’erogazione dei servizi pubblici questo il contributo che possiamo portare.
Esiste un problema di crescita dell’equità, della giustizia, della produttività e della qualità. Per frenare una progressiva e pericolosa perdita di responsabilità da parte degli attori economici, sempre più svincolati dal bene comune delle loro comunità di riferimento, è necessaria la creazione di sottoinsiemi di vita economica nei quali la fiducia venga effettivamente praticata, rinforzando abitudini virtuose tramite la realizzazione e l’intensità degli scambi. È proprio questo il ruolo vero e profondo nel quale si esprime la cooperazione, ossia persone che si associano in funzione di uno scambio mutualistico (il lavoro, la casa, i consumi).
Ci sono quindi alcuni compiti e funzioni che soprattutto la cooperazione, per natura e per missione, può e deve assumersi, tra cui:
– Emancipazione: da oltre un ventennio crescono le diseguaglianze. La capacità delle generazioni successive di migliorare le proprie condizioni rispetto a quelle dei genitori si è molto ridotta. La cooperazione ha storicamente svolto una funzione di emancipazione che oggi, in condizioni nuove, deve e può continuare a svolgere. Per esempio, la cooperativa può essere lo strumento attraverso cui giovani e donne, anche con importanti bagagli formativi e professioni innovative, possono organizzare il proprio futuro senza doverlo necessariamente pensare altrove. Per questo, abbiamo predisposto strumenti finanziari e di supporto perché ciò possa avvenire, frenando così l’inarrestabile esodo di giovani talenti o favorendo il loro rientro dopo esperienze utili ed arricchenti per l’intera società. L’inclusione e la promozione del protagonismo economico e sociale di giovani, donne e migranti è la sfida che la cooperazione vuole raccogliere, un lavoro antico, l’emancipazione degli esclusi, che diviene strategico nell’attuale quadro demografico e su cui siamo impegnati anche in collaborazione con gli uffici municipali a ciò dedicati. I risultati ci stanno dando ragione e ripagano l’impegno profuso grazie al formarsi di nuove e dinamiche imprese cooperative giovanili.
– Innovazione: il movimento cooperativo ha dato una forte spinta innovativa all’evoluzione storica ed allo sviluppo economico e sociale creando nuovi mercati o innovando mercati esistenti (come nel caso della cooperazione sociale, agricola e di consumatori). Potremmo dire che l’innovazione è la vera cifra della cooperazione. Oggi l’innovazione si può tradurre nella ricerca di modi nuovi di stare sul mercato attraverso diverse applicazioni di tecnologie e socialità. Sperimentare, promuovere modelli ibridi e nuovi: questa è la frontiera su cui siamo impegnati convinti che possa essere un importante contributo al rilancio di Genova e della Liguria.
– Lo sguardo verso l’Europa: il movimento cooperativo, presente e radicato in tutta Europa e nel mondo, forte dei suoi valori di partecipazione democratica, collaborazione e sostegno tra cooperative può essere parte del tessuto connettivo su cui promuovere un percorso di formazione di una coscienza europea in cui le città metropolitane, in rete tra di loro, stanno dando un contributo originale cui anche Genova deve e può contribuire.

La cooperazione negli ultimi anni
Anche la cooperazione ligure, analogamente a quanto è avvenuto a livello nazionale, ha fortemente sofferto la crisi, in particolare a partire dal 2013. Le difficoltà hanno riguardato settori diversi e colpito anche le importanti cooperative “nazionali” stabilmente presenti sul nostro territorio in particolare, ma non esclusivamente, nel comparto delle costruzioni. Ciò non di meno i livelli occupazionali, nel loro complesso, non solo hanno tenuto ma sono cresciuti (oltre 28.000 gli addetti delle cooperative liguri di cui circa il 60% nell’area metropolitana) con un contributo per dimensione d’impresa, occupazione giovanile e femminile che va ben oltre la quota media di presenza rispetto alle altre tipologie d’impresa.
Industria ed innovazione
Il sistema industriale ligure, ancorché fortemente ridimensionato, continua a svolgere un ruolo importante, in alcuni casi di valenza nazionale ed internazionale, con straordinarie eccellenze in settori innovativi e con la possibilità di portare un importante contributo al sistema Paese.

Il movimento cooperativo potrebbe contribuire al consolidamento e mantenimento di intere filiere se si maturasse la consapevolezza che, prima di chiudere, è possibile verificare la fattibilità, certo non scontata, di operazioni di Workers Buyout. Operazioni non semplici che possono vedere l’intervento di strumenti finanziari specifici e competenze che il movimento cooperativo ha saputo costruire è può mettere a disposizione della comunità.
Genova è sede di importanti enti di ricerca come Università, CNR, IIT e la Regione in questi anni ha svolto, innanzitutto attraverso la L.R. 2/2007, un importante ruolo di coordinamento, promozione dell’innovazione e sviluppo di un maggior collegamento tra il sistema della ricerca e quello produttivo.
Poiché l’innovazione tecnologica è pervasiva di ogni ambito di attività, è necessario promuovere cultura e sperimentazione in ogni ambito senza pensare che sia riservata solo alle imprese hi tech.
Università e città universitaria
In questo è centrale il ruolo dell’Università la cui presenza è un grande punto di forza su cui è necessario investire di più in servizi agli studenti (all’abitare, allo studio, al rapporto con le imprese), di proposta culturale e di svago. Una città accogliente con gli studenti sarà una città più dinamica e aperta capace di avere in questo uno dei principali driver del suo sviluppo. La presenza dell’Università e la sua valorizzazione non è quindi una questione che riguarda la sola istituzione universitaria, ma investe l’intera comunità. Le esperienze attivate dal movimento cooperativo in questi anni per promuovere tra gli studenti cultura d’impresa e fornire loro servizi all’abitare ed allo studio sono positivi esempi che vanno ampliati e rafforzati.

La Portualità e la logistica
Il cluster marittimo portuale rappresenta per Genova un valore che va ben oltre il già significativo dato delle attività “dirette” con competenze che coinvolgono le libere professioni (commercialisti e studi legali), le assicurazioni (con la presenza, tra le altre, della sede di direzione di Siat, compagnia del gruppo UnipolSai specializzata nel ramo trasporti e tra i leader mondiali del settore marittimo) il vasto ambito della logistica e non solo.
Un’indagine svolta nell’ottobre 2016 per Repubblica dalla società di consulenza e revisione PwCSe rivela che la “blue economy”, quell’aggregato unico di produzione e servizi che riunisce porti, armamento, cantieristica, nautica, pesca, turismo e professioni, da sola vale undici miliardi di euro di fatturato aggregato nel 2015 (dato in crescita del 3,09% rispetto al 2014). Una consapevolezza che a volte sembra mancare alla città e su cui è necessario lavorare migliorando il rapporto tra porto e città completando il disegno del water front e migliorando i percorsi d’interconnessione anche attraverso progetti come “evento bastimento” (http://www.eventobastimento.it) su cui la cooperazione è attivamente impegnata da alcuni anni.

Il piano strategico nazionale della portualità e della logistica affida a Genova un ruolo decisivo per affermare un “sistema mare” in grado di far recuperare all’Italia il profondo gap che la relega ad essere il fanalino di coda in Europa.
Mentre il traffico container nei primi 30 porti mediterranei risulta complessivamente triplicato in questi ultimi anni il porto di Genova è fermo ai sui 2ML di teu. Il prossimo raddoppio di Suez consentirà un ulteriore aumento dei traffici nei porti del Mediterraneo.
Il piano strategico nazionale individua le azioni da mettere in atto nei prossimi anni per sviluppare il sistema portuale italiano in primis quello di Genova.
Senza entrare nelle competenze proprie degli operatori e dell’Autorità di Sistema Portuale, pur auspicandone una rapida entrata a regime, ci limitiamo a identificare quelle che riguardano il Comune in quanto rappresentante di una comunità che deve vedere nel porto e nella logistica che opera intorno ad essa una opportunità di crescita economica e sociale che non sia a discapito della qualità ambientale, anzi ne sia fattore di miglioramento.
Sono note le conseguenze di una crescita dei traffici nel tessuto urbano: l’inquinamento, il caos della viabilità, sono due dei fattori negativi collegati alla crescita dello scalo ed alle attività logistiche collegate.
La città ha un ruolo importante. Può quindi vincolare il processo di crescita alla salvaguardia dell’ambiente e della vivibilità della città oggi fortemente compromesse.
A fronte di 2 milioni di Teu lavorati in porto si calcolano almeno 5.000-5.500 mezzi pesanti /giorno sulle strade della città.
Una città con pochissime aree di retroporto se intende aumentare i volumi di traffico (3-4 ml di Teu) ha bisogno di rendere rapidissimo ed efficiente il trasbordo da nave a terra proiettando le merci su aree retro portuali a completamento dei servizi da e per la banchina. L’occasione di vedere liberate tratte secondarie di ferrovie verso il nord do vuta alla realizzazione della linea veloce GE-MI va raccolta dal Comune come l’occasione per liberare, tramite la veicolazione della ferrovia, buona parte del trasporto su gomma spostando quest’ultimo nel retro porto (le aree del basso Piemonte) per la tratta finale di destinazione merci. Ciò presuppone un progetto concertato con gli operatori per il reperimento e l’efficientamento delle aree oltre che un accordo con le ferrovie per l’utilizzo delle tratte.
Risultato di questa operazione: abbattimento dei livelli di inquinamento e alleggerimento del sistema di traffico cittadino.
In attesa che si realizzi l’ammodernamento infrastrutturale, rispetto al quale registriamo alcuni significativi passi avanti, è necessario altresì prevedere interventi che favoriscano una maggiore efficienza del sistema ed in particolare un’adeguata, ed attesa da troppi anni, rete di autoparchi e servizi all’autotrasporto in prossimità del porto.
Altro terreno di impegno da parte del Comune per favorire la crescita della logistica nel rispetto della qualità ambientale è l’approvvigionamento di carburanti alternativi per l’autotrazione pesante. In particolare il Metano (GN) e il BioMetano ottenibile da fonte rinnovabile.
A livello comunitario, la Commissione Europea (CE), con la direttiva 2014/94/EU, del Parlamento Europeo e del Consiglio, del 22 ottobre 2014, sullo sviluppo dell’infrastruttura per i combustibili alternativi (DAFI), ha previsto che gli Stati Membri adottino, entro il 2016, dei piani di sviluppo delle diverse fonti alternative per il settore dei trasporti. In tale contesto si colloca anche il GN ed il piano strategico nazionale per il suo sviluppo.
Nella direttiva 2009/28/CE, (D.Lgs. 28/2011) il biometano proveniente da rifiuti urbani organici, viene espressamente indicato come uno dei biocarburanti con più alta percentuale di riduzione di gas serra (oltre l’80%) e al massimo livello tra i biocarburanti producibili con le tecnologie attualmente disponibili, mettendo a frutto una produzione che oggi rappresenta un costo di smaltimento ma che invece può rappresentare un vantaggio diffuso: lo smaltimento del cosiddetto “umido”.
Genova può raccogliere circa 80.000 tonn. di rifiuti organici. Questi, trasformati in Biogas da alcuni biodigestori produrrebbero diversi milioni di metri cubi di Biometano sufficienti per alimentare centinaia di mezzi pesanti.
L’utilizzo di Biometano da trazione abbatterebbe notevolmente gli inquinanti in città e darebbe una soluzione vantaggiosa sia agli autotrasportatori ma anche ad Amiu che si vedrebbe abbattere i costi di smaltimento.
Le aree industriali per la collocazione dei biodigestori non mancano (da quella della dismessa centrale Enel alle molte aree presenti nella Valpolcevera e del primo entroterra genovese).
Il movimento cooperativo è pronto ad investire in questa direzione sia dal punto di vista industriale che sul fronte dell’autotrasporto di cui rappresenta, per numero di motrici e capacità organizzativa, parte importante e dinamica.
La riforma ha lasciato aperto il tema del lavoro portuale e temiamo possa paventarsi lo spettro della deregolamentazione da cui trarrebbero beneficio solo le cooperative spurie, riproducendo anche all’interno delle aree portuali e immediatamente retrostanti quanto di peggio è avvenuto nel comparto della logistica. È necessario individuare percorsi di riforma ed innovazione che, nella ricerca della necessaria maggiore efficienza, partano dal rispetto della specificità del lavoro portuale. Le Compagnie portuali devono assumere un ruolo di leader in questo lavoro di riforma ed innovazione.
Il nostro porto, che insiste dentro la città, in attesa che giungano a compimento le grandi opere in fase di progetto e/o realizzazione, palesa talvolta limiti strutturali che mal si relazionano con le esigenze imposte dal crescente fenomeno del “gigantismo navale”. È pur vero che non c’è nessuna statistica invocata per calcolare i costi della insicurezza, perché la tendenza è quella di valutarne gli effetti post mortem. Se oggi i nostri porti sono tra i più sicuri, questo lo si deve alla generale funzione dei “servizi tecnico-nautici” che rappresentano un presidio affidabile, professionalmente preparato sotto la vigilanza e il controllo dell’Autorità marittima, che con la sua attenta regia, fattivamente contribuisce a evitare incidenti e/o validamente operare per attenuarne gli effetti qualora succedano. Sono anche queste le ragioni per le quali in materia di Servizi tecnico-nautici suggeriamo che venga mantenuta e rafforzata la titolarità statale per la loro disciplina e la relativa tariffazione.
Il sistema infrastrutturale e logistico di “servizio” ai porti è fondamentale per garantirne la competitività, la crescita e la compatibilità con la qualità ambientale e della vita per questo è necessario procedere alla realizzazione delle infrastrutture a servizio dei porti (Terzo Valico, nodo ferroviario di Genova, raddoppi dell’Aurelia, strada a mare di Cornigliano, nodo di San Benigno, Gronda Autostradale di Genova).

Turismo
Le politiche per il turismo investono il più ampio ambito della “qualità della vita”. Una città accogliente, pulita, con un sistema di trasporto urbano e di servizi efficiente, capace di promuovere un modello di turismo sostenibile è una città dove vivono bene sia i residenti sia gli ospiti. Riteniamo questi obiettivi e questa cultura una precondizione per una città che voglia crescere. Su questo molto resta ancora da fare.
Il Turismo è senza ombra di dubbio una delle grandi opportunità che la nostra città deve cogliere ed ha saputo cogliere come dimostrano i dati sul turismo culturale e non solo.
Siamo convinti che alcuni dei driver della crescita si integrino in un macroambito che potremmo definire della “valorizzazione integrata del territorio” il cui sviluppo può consentire un rafforzamento della città e della sua dotazione imprenditoriale ed occupazionale. È questo un ambito in cui l’impresa cooperativa, per sue intrinseche caratteristiche, è particolarmente adatta, e per questo abbiamo promosso una specifica progettualità ed azioni di sostegno alla crescita ed allo sviluppo del turismo sostenibile come ha dimostrato il recente svolgimento a Genova della Borsa Italiana del Turismo Cooperativo ed Associativo. La filiera agro-alimentare e della pesca rappresenta una componente d’integrazione dell’offerta turistica con ottime prospettive di sviluppo. Oltre alle azioni di sostegno delle realtà di eccellenza, oggi esposte a una forte concorrenza internazionale, si rivela sempre più importante la difesa e la promozione della tipicità, che costituisce il supporto ed il volano di tutta la filiera della ristorazione e del turismo di qualità, struttura portante della valorizzazione del territorio.

La valorizzazione dei beni culturali
La gestione del territorio, in uno scenario in cui il settore pubblico ha risorse sempre più scarse, lascia completamente irrisolti i problemi della gestione dei beni pubblici soprattutto di quelli appartenenti al c.d. patrimonio minore diffuso (per esempio la rete dei forti) fonte, allo stesso tempo, di preoccupazione (per gli enti pubblici) ed interesse (per i possibili gestori privati). È anche su questo tipo di patrimonio che riteniamo possa essere giocato un ruolo attivo da parte del mondo della cooperazione.
In tutto questo ambito l’Amministrazione Comunale deve compiere una scelta decisa verso una sempre più ampia sussidiarietà e protagonismo dell’impresa nei modelli gestionali così da rafforzare i servizi al turismo e l’attrattività complessiva del sistema.
L’idea che abbiamo è quella di costruire un modello di vera sussidiarietà anche nella gestione dei beni culturali. Nel turismo in generale, nei servizi al turismo, la presenza dell’impresa privata è un fatto consolidato non solo nella ricettività, ma nella gestione dei beni culturali non è così. Non siamo abituati all’idea che ci possa essere un operatore non pubblico, oppure pensiamo che l’operatore non pubblico debba avere un ruolo di tipo ancillare. Noi pensiamo invece che sia arrivato il momento per effettuare un salto di qualità e lo sforzo che stiamo facendo è proprio questo. Costruire dal basso un nuovo modello economico, fatto della partecipazione fattiva, di tante imprese e di tante persone, persone prevalentemente giovani e molto qualificate.
Liguria al terzo posto per turismo culturale
I flussi turistici in Liguria hanno sicuramente beneficiato del crescente apporto della componente culturale. Secondo dati provvisori diffusi dal Ministero dei Beni culturali (MiBACT), nel triennio 2014-2016 l’aumento dei visitatori di musei, monumenti e aree archeologiche della Liguria è stato del 17,5% e il valore colloca la regione al terzo posto in Italia per dinamica delle presenze nel periodo. Nell’ultimo anno, la crescita di visitatori nei musei liguri ha segnato un +64,7%, il tasso più alto d’Italia e molto superiore alla regione seconda classificata, la Calabria, che ha registrato un incremento del 39%, ma – è bene sottolinearlo – la regione rimane terzultima per numero globale di visitatori dei musei statali: 205.967 unità per 390.503,55 euro di introito lordo (ISTAT 2017).
Se il fenomeno riguarda – con rare eccezioni – l’intero comprensorio ligure, è stato il capoluogo regionale a beneficiare maggiormente della crescita del turismo culturale nella regione. Il processo incominciato nel 1992 con il recupero delle aree del porto antico, consolidato con Genova capitale della Cultura nel 2004 e proseguito con la messa a sistema delle Strade Nuove e dei Palazzi dei Rolli ha costituito il sostrato necessario al decollo della città come meta privilegiata del turismo culturale italiano ed internazionale.
Nell’ultimo anno, inoltre, la gestione da parte del capoluogo della tassa di soggiorno nata dall’impegno congiunto di Comune e Camera di Commercio nell’agosto 2016 (destinata per il 40% al decoro della città e al miglioramento delle strutture ricettive, la restante parte alla promozione), identificata come Good Practice europea – unica in ambito turistico e culturale – ha generato circa 2 milioni e mezzo di euro.
I risultati si sono potuti osservare nell’ultima Giornata dei Rolli e nella Giornata delle Botteghe Storiche, che hanno totalizzato elevatissime presenze. Manifestazioni come il Festival della Scienza, la programmazione dell’ultimo quinquennio di Palazzo Ducale, le due novità rappresentate da Villa Durazzo Pallavicini (a gestione cooperativa) e Palazzo Reale hanno avvicinato la città alle mete più frequentate della nazione, veicolando il prodotto Genova in tutte le sue forme e operando da volano anche per le attrazioni secondarie.
Questa la direzione su cui bisogna continuare a lavorare.

Accoglienza turistica
La riforma “incompiuta” delle province ha fortemente indebolito il sistema d’informazione ed accoglienza turistica che, nonostante l’auspicabile crescente ricorso alle nuove tecnologie, resta un architrave fondamentale dell’industria turistica.
Proponiamo la formazione di un sistema diffuso, integrato con quello pubblico che ne resta il fondamentale architrave, d’informazione turistica che, senza far crescere la spesa corrente della P.A., migliori l’accoglienza turistica e rafforzi la competitività del sistema.
Attraverso la costruzione di una rete di esercizi pubblici e commerciali sul modello dei Bistrot de Pays francesi che integri l’offerta e migliori la cultura dell’accoglienza rendendo il territorio protagonista.
Cooperative di comunità
L’autoaiuto e l’autorganizzazione dei cittadini può essere strumento potente di rivitalizzazione delle aree svantaggiate, a partire dalle c.d. aree interne e dei quartieri più “difficili”. Dentro una nuova dimensione del rapporto tra cittadino, comunità ed istituzioni è possibile promuovere un nuovo modello di sviluppo sostenibile sia dal punto di vista ambientale che sociale.
Strumento ideale per la rivitalizzazione delle aree interne del Paese, la cooperazione di comunità può assolvere un ruolo non trascurabile nel contesto urbano.
Non a caso, il Ministero per lo Sviluppo Economico nel suo Studio di fattibilità sulle cooperative di comunità del 2016, sottolinea l’importanza di un ragionamento sulle «potenzialità di sviluppo di questa forma imprenditoriale in contesti più distanti e vulnerabili non tanto in termini strettamente geografici bensì in termini di presenza e concentrazione di investimenti pubblici e privati». Si tratta di un percorso su cui si stanno concentrando molte attenzioni, sia di una parte della cooperazione (come quella di abitazione e sociale), sia delle amministrazioni pubbliche e di associazioni o Fondazioni.
I progetti urbani di cooperazione di comunità (ad esempio nel problematico quartiere Pilastro di Bologna, oppure a Reggio Emilia) si concentrano su attività che vedono i quartieri protagonisti di una ri-costruzione delle relazioni a partire da una rivitalizzazione – anche economica – che apra nuovi spazi e nuove occasioni per chi in questi quartieri vive e subisce quotidianamente situazioni di isolamento, difficoltà nelle relazioni e nell’accesso ai servizi.
In sostanza si vuole valorizzare il protagonismo del territorio e dei suoi abitanti, in grado di sviluppare iniziative utili ai quartieri e sostenibili economicamente.

Commercio
Per quanto dal 2015 vi sia stata una lieve ripresa dei consumi, le famiglie per molto tempo ancora non torneranno ai consumi del periodo prima della crisi. Durante la crisi si sono affermati stili di consumo più sobri che sono diventati ‘vissuto’ culturale di fondo, e che quindi permarranno a lungo.
In questo nuovo scenario, tutto il settore distributivo è chiamato a nuove sfide in termini di innovazione rispetto ai cambiamenti dei consumatori.
Anche le imprese cooperative sono impegnate nella ricerca di forte innovazione delle proposte commerciali e della massima efficienza gestionale per incontrare le esigenze dei consumatori e per trasferire ad essi sempre maggiore convenienza: in questa direzione hanno già programmato ingenti investimenti per innovare la propria rete di vendita.
Grande attenzione sarà posta, nelle azioni di innovazione degli assortimenti, ai prodotti tipici e alle produzioni locali, per preservare il sostegno alle produzioni locali (tipiche e non) che ha caratterizzato le cooperative in questi ultimi anni, ed ha consentito a molti fornitori di crescere, in termini qualitativi e quantitativi, contribuendo al rafforzamento dell’economia regionale.
In Liguria, anche negli anni della crisi sono aumentati notevolmente sia il numero dei punti di vendita, sia la superficie di vendita: questi incrementi hanno riguardato solo in minima parte la rete commerciale cooperativa.
In questo quadro è necessario evitare sconvolgimenti del settore e favorire iniziative capaci d’integrarsi con il tessuto commerciale esistente, favorendone una graduale evoluzione attraverso un processo di modernizzazione che limiti la sovrapposizione di punti di vendita, favorisca la specializzazione e la qualificazione, in modo tale che il complesso dell’offerta commerciale sia sempre più capace di rispondere alle attese dei consumatori.
Per quanto riguarda le imprese attive nei settori della distribuzione, è necessario consentire loro processi di di trasferimento ed ampliamento in siti più adeguati che producano riduzione dei costi, maggiore capacità competitiva, e contribuiscano a migliorare l’assetto urbano circostante, in particolare per l’aspetto della sicurezza idraulica.
La distribuzione cooperativa, mentre chiede questa attenzione, si impegna a garantire, così com’è nello spirito cooperativo, la ricerca della massima produttività e riduzione dei costi a favore dei consumatori.
Gli sforzi d’investimento sul sistema infrastrutturale divengono fondamentali per rendere il sistema della logistica delle merci sempre più efficiente e limitare l’elevata incidenza di costo che determina alla rete di vendita ligure.
Nello scenario di cambiamento che stiamo affrontando sarà utile sostenere politiche di cooperazione e di aggregazione tra le piccole imprese commerciali per consentirne l’ammodernamento ed il rilancio.

Welfare
Il panorama che si presenta in Liguria e a Genova, pur se frammentato, evidenzia un dato omogeneo: nonostante le difficoltà del mercato, vi è stata una tenuta occupazionale che non ha confronti con altri settori economici.
In Liguria e a Genova, nel quadriennio 2013/ 2016, l’incremento occupazionale è stato di oltre il 10%. La cooperazione sociale ha retto l’impatto della drastica diminuzione delle risorse, a volte ristrutturando l’organizzazione, ma più spesso mettendo a disposizione della difesa dell’occupazione e dei servizi risorse proprie.
Significativo il contributo che la cooperazione sociale ha dato alla condizione di vita nelle comunità, connettendo welfare e sviluppo locale. Esemplare, in tal senso, è l’impegno delle cooperative sociali nei percorsi di rigenerazione urbana, nella gestione dei beni confiscati alle mafie e nella rianimazione delle periferie della nostra città. Operare per rafforzare questi aspetti può essere, a nostro avviso, uno degli elementi di forte interazione tra Comune di Genova e Cooperazione sociale. Utilizzare i beni confiscati e il patrimonio pubblico dismesso per costruire processi di rigenerazione urbana, progetti di housing sociale (in collaborazione con le cooperative di abitanti), servizi di alta e bassa soglia, attraverso, per esempio, percorsi di project financing è una delle proposte che avanziamo.
Il cosiddetto welfare è l’altro filone che proponiamo alla discussione degli Stati Generali.
Il welfare aziendale è una delle soluzioni che si stanno sperimentando con successo, sia da parte del sistema delle imprese, sia da parte della cooperazione sociale, quale organizzatore e gestore di servizi. Immaginare una rete che integri il complesso ed eterogeneo panorama del welfare aziendale con la rete di servizi pubblici (quasi tutti gestiti dalla cooperazione sociale) può essere occasione di consolidamento, estensione, articolazione dei servizi, tutela dell’universalismo del sistema di welfare, oltre che di promozione di nuovi servizi; insomma l’occasione di fare sistema anche in questo ambito, attraverso la costruzione di piattaforme per l’accesso a gestione pubblico/privato, fermo restando la presa in carico del pubblico per i cittadini più fragili e senza tutele contrattuali.
Aprire un confronto tra Organizzazioni di categoria, Amministrazione Comunale su questi temi e con questi obiettivi può essere il punto di partenza.
Il sistema degli appalti nel sociale dimostra tutti i suoi limiti. Non appare sufficiente, nonostante il nuovo codice, a tutelare la qualità delle prestazioni e la tutela dei lavoratori. È necessario un superamento effettivo del sistema del massimo ribasso, che se pur esplicitamente abolito nel nuovo codice, nei fatti ritorna con le formule astruse utilizzate nel valutare l’offerta economicamente più vantaggiosa.
Proponiamo e sosteniamo forme più evolute di partnership tra cooperazione sociale ed ente pubblico che, nel pieno rispetto della trasparenza, accrescano il potenziale umano e professionale (irrinunciabile nel sociale); pensiamo ai patti di sussidiarietà, all’accreditamento (fatto con criterio), alle concessioni fino alle società miste.
Auspichiamo che la Regione Liguria persegua, con coerenza, la riorganizzazione dei servizi in un’ottica di effettiva integrazione fra sociale e sanitario (che vuol dire anche trasferimento di risorse), che coinvolga pienamente, non solo i livelli istituzionali e le professioni mediche e tradizionalmente sanitarie, ma anche i soggetti, come la Cooperazione Sociale, che sul versante della promozione della domiciliarietà e dei servizi integrati di territorio hanno sviluppato esperienze e competenze eccellenti, sia sul piano dell’efficienza e della sostenibilità che della qualità e utilità sociale. Questo vuol dire rafforzare il ruolo, peraltro assegnato dalla Costituzione, del Comune nelle politiche socio-sanitarie; integrare di più le politiche comunali con quello di ALISA/ASL, può essere un ulteriore volano di sviluppo occupazionale, di efficienza e di maggior tutela dei cittadini, in particolare quelli più fragili, contrastando l’esclusione sociale che deriva alle persone non autosufficienti, ai disabili, sofferenti psichici da risposte di sanitarizzazione ed istituzionalizzazione non appropriate né necessarie.
Investire sul lavoro nelle politiche dell’occupazione, a partire dal sostegno all’occupabilità di quanti, sul mercato del lavoro, partono “svantaggiati”, per fornire alle persone opportunità nuove, evitare un ingiustificabile spreco sociale e finalizzare in maniera più concreta le risorse del welfare, in modo che la loro integrazione possa incidere positivamente sulle dinamiche qualitative dello sviluppo. Il ruolo della cooperazione sociale di inserimento lavorativo (tipo B) su questo punto può diventare formidabile perché, in questi anni, ha dimostrato di saper svolgere un’importante funzione, sia come partner attivo della pubblica amministrazione sia come impresa capace di attivare e sviluppare attività in moltissimi settori produttivi e di mercato finalizzato alla creazione di opportunità lavorative non solo per persone svantaggiate ma, anche, per larghe fasce di lavoratori espulsi dal mercato del lavoro e con grosse difficoltà a rientrarvi.
Rilanciamo, pertanto, la richiesta di destinare almeno il 5 % del budget annuale, destinato all’acquisto di beni e servizi del Comune e della Città Metropolitana, alle imprese che realizzano inserimenti lavorativi di persone svantaggiate (non solo le coop sociali), come previsto da Legge Regionale e Delibere del Comune di Genova, ma, soprattutto, alla luce del nuovo codice degli appalti che all’Art. 112 prevede questa possibilità.

Migranti
La politica di accoglienza dei migranti è elemento fondamentale per la costruzione di una società aperta, giusta capace di crescere in armonia, di cogliere le energie vitali che da tale fenomeno possono derivare soprattutto in un quadro demografico che segna un “bisogno” di nuovi cittadina, ma nello stesso tempo di governare le tensioni sociali che potrebbero derivare da un mancato governo di un fenomeno cosi complesso.
Come alleanza delle Cooperative Italiane Ligure abbiamo costruito la carta della buona accoglienza che abbiamo condiviso e firmato con ANCI Liguria nel Luglio scorso.
La cooperazione sociale si muove in ossequio ai principi e alla metodologia della carta ponendo la massima attenzione al rispetto di procedure e tempi previsti dalla legge in materia di esecuzione dei rapporti contrattuali tra pubblico e privato e impegnandosi per segnare la distanza dalle realtà che approfittano della situazione di bisogno per trasformarla in un business.
Le nostre cooperative lavorano per favorire un’accoglienza di qualità utilizzando le risorse non solo per provvedere nella maniera migliore possibile al soddisfacimento dei bisogni primari (alloggio, vitto, vestiario) ma anche investendo in formazione per gli operatori e per le persone accolte, con l’obiettivo di favorire un’integrazione reale e produttiva. I percorsi formativi vanno dalla formazione di base (lingua italiana, educazione civica) fino a percorsi formativi mirati all’acquisizione di professionalità (corsi di Sartoria, cucina, manutenzione del verde, ecc.).
Riteniamo necessario puntare ad un’accoglienza diffusa con strutture di piccole dimensioni che evitando la concentrazione favoriscono i rapporti interpersonali e l’integrazione con le comunità. In alcuni casi le nostre cooperative gestiscono strutture più grandi (mai grandissime), si tratta di forme di prima accoglienza, finalizzate all’accompagnamento mirato verso altre strutture in una logica di filiera , di appropiatezza e di coerenza dei gruppi!
In questa direzione sosteniamo il superamento del sistema duale (SPRAR – Prefettura) con l’assorbimento graduale nel sistema SPRAR come processo di accreditamento permanente sulla base di una procedura selettiva e rigorosa dei progetti perché questo consente di:
 offrire mirate misure di assistenza e di protezione al singolo beneficiario;
 favorire il percorso di integrazione attraverso l’acquisizione di una concreta autonomia che si caratterizza per l’articolazione appunto in strutture di piccola
dimensione, diffuse sul territorio;
 garantire la titolarità pubblica degli interventi, poiché è proprio sulla responsabilità
pubblica che si gioca la sostenibilità e l’adeguata connessione degli interventi con la
rete dei servizi del territorio;
 tutelare e rendere esenti da tensioni i territori che accolgono le strutture.
Riteniamo fondamentale la strutturazione di un dialogo costante tra le persone accolte e la cittadinanza, affinché il valore aggiunto della buona accoglienza contribuisca a contrastare i pregiudizi e la disinformazione, primo ostacolo di un’efficace inclusione sociale. Per questo oggi proponiamo la costruzione di sportelli di quartiere li dove le nostre cooperative agiscono in collaborazione con i servizi pubblici per spiegare, per rendere trasparente la gestione delle risorse , accettare le critiche, farsi carico dei problemi.
Le politiche per l’abitare
Una città che guarda al futuro e annuncia di ritornare a crescere deve inserire imprescindibilmente le politiche abitative tra gli Item su cui lavorare. Deve saper analizzare i bisogni, progettare le risposte a tali bisogni e individuare risorse da destinare. Le esigenze abitative sono di diversa natura e la domanda di casa è trasversale alle classi sociali, di età, reddito e tipologie di utilizzo. La sola categorizzazione tra casa pubblica (ARTE) e casa privata, che sia basata sul modello immobiliare puro privato o cooperativo, è da considerarsi desueta e non rispondente ai bisogni della domanda. Il problema casa si interseca con una serie di dinamiche che incrociano stock abitativo disponibile sul mercato. Questo stock si suddivide tra case abitate e da riqualificare, case sfitte, immobili vuoti e da ristrutturare, nuovo invenduto, npl e sofferenze immobiliari in pancia alle banche, immobili acquisiti da fondi immobiliari, ingenti aree da ridestinare e riqualificare. Una capace programmazione deve dare delle priorità rispetto alle risorse da destinare. Occorre definire in una concertazione di sistema quali siano i bisogni a cui destinare le risorse, quantificare le risorse e modulare un’architettura finanziaria mista pubblica privata, di provenienza bancaria, finanziaria (fondi immobiliari), Cdp, credito sportivo, finanziamenti ministeriali ed europei dedicati. Il modello concertativo e della coprogrammazione non può interessare tutti i soggetti che si occupano del tema casa, questo modello è un modello vecchio che tende a trovare risposte a tutto e non individua le priorità di sviluppo verso il quale un’Amministrazione vuole andare. Sta alla politica individuare le priorità e ai portatori di interessi, suddivisi per settori di intervento, proporre soluzioni concertate. In questa visione molto pragmatica e programmatoria delle previsioni di intervento la Cooperazione può giocare un ruolo significativo nella capacità di aggregare la domanda, anzi le domande, nella programmazione di community management (riorganizzazione dei servizi delle comunità, coinvolgimento dei cittadini in percorsi partecipativi di miglioramento dei luoghi di vita e di lavoro) nei servizi all’abitare, nella progettazione e gestione dei servizi di welfare di comunità e welfare aziendale che devono essere modulati secondo i bisogni. Il mix di competenze della cooperazione sociale, della cooperazione di abitanti, della cooperazione di comunità, della cooperazione di lavoro e la cooperazione del consumo e dei dettaglianti, così come la cooperazione di utenza in generale nella gestione dei beni collettivi (energia, acqua, rifiuti, gas), si candida a questo ruolo. La capacità strutturata di dialogare con chi cerca casa (domanda aggregata a seconda delle tipologie: studenti, fasce deboli, migrazione, lavoratori fuori sede, lavoratori a progetto legati a tempi di vita definiti nella città in cui sono chiamati a svolgere la propria attività professionale così come il lavoro stagionale in una città sempre più a vocazione turistica, il lavoro ad alto contenuto professionale ecc.), la capacità di aggregare la domanda tradizionale di chi cerca casa (classica cooperativa di abitanti), la capacità di dialogare con gli istituti di credito, oggi i principiali immobiliaristi sul mercato, e la modalità cooperativa di fornire modelli abitativi e di servizi in forme diverse e plasmate su bisogni differenti ci impone di candidarci a svolgere un ruolo primario. Il modello per le politiche abitative che proponiamo non vuole sovrapporsi alla definizione delle politiche pubbliche per sostituirsi a quel tipo di offerta (benché abbia la possibilità di integrarla), non vuole sostituirsi al sistema collaudato della rete di agenti immobiliari, non vuole sostituirsi alle organizzazioni sindacali o professionali che trattano il tema casa nelle diverse declinazioni. Il nostro modello e le modalità di concertazione e coprogettazione può essere un modello autonomo rispetto al quale ci proponiamo di individuare i settori di intervento con l’Amministrazione e di verificare le sinergie con altri. Chiediamo pertanto come Alleanza delle Cooperative un tavolo dedicato in cui la cooperazione si confronti con l’Amministrazione su analisi, priorità e linee di intervento.

L’efficienza della P.A.
L’efficienza della P.A. e la sua capacità di prevedere procedure e tempi certi sono fattori sostanziali per determinare la competitività di un territorio. Oggi spesso ci troviamo di fronte ad una P.A. inefficiente e legata più a logiche di procedura, arbitrio, veti tra uffici diversi, che a responsabilità, lavoro per obiettivi e capacità di ascolto delle esigenze dell’impresa.
L’obiettivo deve essere quello di garantire trasparenza, tempi, regole e procedure rapide e certe. La nostra capacità di essere protagonisti, come siamo stati insieme agli enti locali, di politiche di sviluppo è fortemente messa in discussione dal taglio lineare della spesa pubblica e dal vero e proprio caos istituzionale. È necessario che le riforme procedano, ma nell’ambito di un disegno generale e coerente dell’impianto istituzionale, in cui trovi finalmente riconoscimento il concetto europeo di sussidiarietà. Il perseguimento di questo obiettivo è in contrasto con l’applicazione del massimo ribasso nell’affidamento di appalti per opere o servizi pubblici, e la mancanza dei necessari controlli sull’esecuzione ed il rispetto dei capitolati. L’affermazione del valore dei diritti dei lavoratori e della legalità come principi inviolabili (troppo spesso solo a parole!) trova nelle condizioni d’appalto il primo fondamentale banco di prova. Conseguenza dei tanti episodi d’illegalità, che hanno determinato una vera e propria ribellione sfociata in tangentopoli, è stato il diffondersi di una cultura del sospetto che non riconosce il valore dell’impresa e non consente di promuovere i necessari e trasparenti rapporti di partnership, tra pubblico e privato, che soli possono consentire innovazione ed efficienza al sistema. È necessario che la legalità diventi effettivamente un valore inviolabile ed effettivamente praticato e che nello stesso tempo si recuperi l’idea di una P.A. amica delle imprese e dello sviluppo.
L’Amministrazione Comunale ha la responsabilità di orientare i mercati ed in primis il proprio mercato!