L’Italia da tempo non conosceva una vera strategia per lo sviluppo che fosse fondata su conoscenza, studio, convolgimento, partecipazione, strumenti e dotazioni economico finanziarie adeguate. La Strategia Nazionale Aree Interne, pensata dall’allora Ministro Barca e da un gruppo di validissimi collaboratori, segna un punto di svolta per le aree interne e le tante fratture del Paese che vanno ricomposte, ma anche per il metodo adottato che può andare oltre questa esperienza se si vuole uno sviluppo armonico che credo sia l’unica vera idea di sviluppo possibile.

Molto è stato scritto su questi temi, consiglio la lettura del “Manifesto per riabitare l’Italia” da pochi giorni in libreria e mi limito a richiamare alcuni elementi che mi servono per il ragionamento che voglio condividere con Voi sul ruolo che la cooperazione può svolgere per lo sviluppo sociale ed economico del Paese.

Manifesto per riabitare l'Italia

Manifesto per riabitare l’Italia

Gli elementi chiave della strategia mi paiono la considerazione che Vi siano alcuni elementi propedeutici e abilitanti allo sviluppo, servizi di cittadinanza che sono fondamentali affinché una comunità possa essere generativa come: l’accesso all’istruzione, ai servizi sanitari e ai collegamenti infrastrutturali (materiali e immateriali). A questo si affianca un metodo partecipativo per individuare risorse più o meno latenti e definire gli obiettivi della comunità.

Questo impianto dialoga naturalmente con i valori e i principi cooperativi, ne condivide le finalità ed il senso, definisce un’idea di società aperta, equa, inclusiva, capace di valorizzare le proprie diversità e per questo più dinamica. Un modo nuovo di guardare allo sviluppo che assume come punto di vista, cui orientare le politiche, quello del benessere delle persone. Detto così sembrerebbe quasi ovvio, cosa dovrebbe fare la politica se non impegnarsi per il benessere dei cittadini? Ma pensate all’esperienza concreta ed a cosa, in questi ultimi anni, ha orientato le scelte di destinazione delle risorse e la loro reale efficacia in termini di benessere e di sviluppo. Un’idea di razionalizzazione che ha abbassato la qualità media dei servizi fondamentali, non ha prodotto efficienza e risparmio né tantomeno l’agognato sviluppo.

Bisogna darsi da fare per definire un nuovo impianto culturale entro cui costruire nuove strategie, quindi la neonata associazione annunciata con il Manifesto è davvero benvenuta!

Ma noi cosa possiamo fare? Questa è la domanda naturale per coloro che, come i cooperatori, hanno deciso di voler incidere direttamente sulla realtà con il proprio agire concreto.

L’esperienza maturata in Liguria con la promozione cooperativa ed in particolare delle cooperative di comunità, prima che la loro importanza e capacità di incidere sul destino dei luoghi diventasse sentire comune, mi consente di tracciare alcuni spunti che spero utili per il dibattito e l’azione.

Il principale insegnamento è che i territori sono ricchi di asset inutilizzati e che il principale di questi siano le persone con il loro bagaglio di saperi, di valori, di legami sociali. Il primo obiettivo è quindi attivare le persone attraverso il dialogo e la costruzione di relazioni.

Il lavoro fatto da Legacoop Liguria, ed in particolare da Roberto La Marca, per far emergere dal confronto con le comunità, competenze, punti di forza, legami sociali ha dimostrato l’importanza di stare sul territorio in modo competente, conoscerlo e riconoscervisi. Un’azione maieutica capace di attivare protagonismo, individuare risorse latenti materiali ed immateriali, promuovere leadership locali, reti di relazioni, progettualità. I numeri sono chiari e dicono che se ci sei, sai ascoltare e consigliare puoi agevolare dei processi di sviluppo e di innovazione.

Un lavoro di animazione il cui successo responsabilizza il movimento e dimostra la forza dello strumento cooperativo per attivare processi di sviluppo a partire dalle comunità.

Il pensiero mainstream ha spesso rappresentato la cooperazione come uno strumento non adeguato per affrontare la contemporanee dinamiche competitive. Processo che ha avuto il suo apice negli anni ’80 del novecento quando in molte legislazioni si introdussero modifiche per consentire la trasformazione societaria. In Gran Bretagna, per esempio,  fu consentito nel 1986 e portò anche alla trasformazione della Halifax Building Society in S.p.A.  La Halifax, cresciuta come società cooperativa con successo nel credito immobiliare in oltre centocinquant’anni di storia , dopo alcuni anni dovette essere assorbita da un’altra banca per le gravi perdite accumulate da un management tutto orientato ai profitti di breve periodo che occulto per lungo tempo le perdite accumulate.

Questo esempio mi serve per dire che lo strumento cooperativo ha caratteristiche tali da renderlo adatto ad ogni settore dell’economia con una tastiera molto ampia di punti di forza che a volte ci si “dimentica” di utilizzare perché forse si subisce il fascino e la “pressione” del pensiero mainstream.

Nel caso specifico dello sviluppo territoriale quali sono questi punti di forza?

In sintesi perché il pezzo si è fatto lungo:

  1. il naturale riferirsi, il riconoscersi negli interessi della comunità (7° principio  ) ed il radicamento in essa fa dell’impresa cooperativa un modello orientato alla creazione di valore per la comunità (e non all’estrazione);
  2. la possibilità di assumere in sé diversi obiettivi (scambi mutualistici) e di rispondere a più interessi (multi-stakeholders), ad esempio quello dei lavoratori, dei cittadini utenti,  delle imprese del territorio, ne fa un soggetto particolarmente adatto per gestire processi complessi di governo con una funzione d’interesse collettivo e di sussidiarietà rispetto al pubblico;
  3. la democrazia interna (2° principio) rafforza la capacità di gestire processi complessi e di costruire, attraverso la partecipazione, scelte attente ai diversi bisogni. Nulla di più potente che costruire obiettivi condivisi può consentire il buon esito di un’intrapresa. Certo non è un pranzo di gala e non sono consentite scorciatoie! Nel caso si va fuori strada.
  4. la democrazia e la compresenza di interessi diversi, a volte anche potenzialmente contrapposti come potrebbero essere quelli di dipendenti ed utenti, fa dell’impresa cooperativa un modello longevo che naturalmente guarda al lungo periodo. Esattamente il contrario dello shortermismo che è tra le cause della mancata crescita che da decenni contraddistingue il nostro Paese. Il passo dell’impresa cooperativa non è quello veloce del centometrista, ma quello lento e faticoso del maratoneta che, seppur diversamente, raggiunge anch’egli risultati straordinari.

Possiamo essere tra i protagonisti di una nuova idea di Italia però bisogna crederci e volerlo. Noi ci crediamo!