Pubblico qui una lettera inviata ad inizio dicembre 2019 a Claudio Cerasa – direttore del Il Foglio – contenente alcuni spunti di riflessione sul modello di sviluppo, il ruolo delle relazioni e dei legami territoriali, delle imprese e di quelle cooperative in particolare.

Carissimo Direttore,

l’articolo “L’Italia ferma” a firma di Renzo Rosati, pubblicato sul Foglio del 30 novembre e 1 dicembre u.s., di cui nel complesso condivido il ragionamento, contiene un passaggio che potrebbe trarre in inganno il lettore circa il ruolo dell’impresa cooperativa e per questo mi permetto d’inviarTi questa mia.

Le modalità con cui si presenta la riforma delle banche di credito cooperativo come esigenza di rafforzamento del sistema imprenditoriale italiano di cui, giustamente, si denuncia il nanismo potrebbe infatti indurre il lettore ad intendere che l’impresa cooperativa sia meno performante rispetto ad altri modelli d’impresa.

I modelli d’impresa non sono “validi” di per sé e non ne esiste uno migliore di altri. Le performance vanno misurate rispetto ai fini che possono essere e sono differenti.  L’impresa cooperativa, che non ha come finalità la massimizzazione del profitto ed ha nel capitale un mezzo e non un fine, ha dimostrato nei suoi centosettantacinque anni di storia di saper competere e creare nuovi mercati. La sua è infatti una storia d’innovazione dei modelli d’impresa, dei mercati e dei rapporti sociali sottostanti. Il calabrone vola!

In particolare, seguendo il filo logico dell’autore, che individua nel nanismo delle imprese uno dei principali problemi del sistema Italia è facile notare come una delle caratteristica dell’impresa cooperativa è la (assai) maggiore dimensione media. Un punto di forza che andrebbe maggiormente sfruttato dal sistema paese.

La riforma delle BCC aveva come obiettivo il rafforzamento patrimoniale del sistema, a fronte delle difficoltà che dall’economia reale si sono riverberate su tutto il sistema bancario (non prioritariamente sulle banche di credito cooperativo) con l’esplodere dei crediti non esigibili (variamente e assurdamente denominati in modo che i risparmiatori non ci capiscano nulla). La discussione si è sviluppata attorno alla difficoltà di conciliare un migliore accesso per le BCC al mercato dei capitali (difficile se non impossibile per la forma cooperativa) con l’esigenza di non snaturarle determinando l’impoverimento dell’ecosistema imprenditoriale che, come tutti gli ecosistemi, ha bisogno di varietà di specie.

Il cosiddetto capitalismo relazionale o di territorio ha sorretto il sistema della piccola e media impresa e con esse tanta parte delle nostre comunità arrivando dove il sistema del credito “SpA” non arrivava.  Il pensiero mainstream, immaginando un inesistente mercato astratto e di per sé efficiente, ha sottovalutato se non osteggiato questo ruolo che, al contrario, nella crisi ha dimostrato tutta la sua importanza economica e sociale. Una riflessione sul senso dell’agire economico si è aperta a tutti i livelli con il crescere della consapevolezza che bisogna cambiare strada senza buttare il bambino (la libertà d’impresa) con l’acqua sporca (i limiti di un modello economico sradicante per tante persone).

Le imprese cooperative non negano il ruolo delle altre forme d’impresa, cui anzi ricorrono quando serve, al contrario vengono spesso messe in discussione in modo ideologico senza riconoscerne il ruolo e i tanti casi di successo anche di cooperazione tra imprese ed imprenditori.

Anche il tema della diffusa infedeltà fiscale toccato dall’autore è condivisibile e alle più note disfunzioni pubbliche potremmo affiancare responsabilità nel nanismo dell’impresa italiana. Trovo infatti che parte di esso sia determinato dalla scelta di non crescere nella dimensione e nel mercato competitivo per potersi accomodare nella comfort zone dell’evasione fiscale e del contenimento fraudolento dei costi. Un tema che, a mio giudizio, sarebbe bello e utile indagare. Anche da qui quindi l’esigenza di un contenimento della pressione fiscale sul lavoro e sulle imprese e di una lotta all’evasione sostanziale e non procedurale. Così libereremo le imprese dall’oppressione burocratico-formalistica cui sono sottoposte! Con la massa di dati a disposizione sappiamo che è possibile e le politiche industriali si fanno anche con un sistema fiscale moderno ed efficiente!

Questa comfort zone è preclusa alla “buona” cooperazione (come sappiamo esiste anche quella falsa perché non è la forma che fa “buona” l’impresa, ma la modalità con cui la si pratica) che, infatti mediamente se confrontata con altre imprese di pari dimensioni ha una contribuzione al gettito fiscale maggiore.

Altre argomentazioni si potrebbero portare, non credo però di poter abusare oltre della Tua attenzione e cortesia. Non ho scritto questa righe per una pubblicazione ma, per la stima che ho come lettore rafforzata dalla breve chiacchierata fatta a Genova in occasione dell’Assemblea di ANCE, nella speranza che possa essere per Te e per il Tuo giornale spunto di riflessione, stimolo ad indagare sul ruolo che il movimento cooperativo può e potrebbe svolgere per il rilancio di moti settori e con funzioni diverse (dal manifatturiero all’impresa di comunità solo per citare i due estremi). Apprezzo, infatti un modo di fare giornalismo caratterizzato da opinioni sempre sostenute da attento studio e osservazione dei fatti, non il commento del commento, ma l’analisi critica.

Nella speranza di aver fornito utile spunto e che ci possano essere ulteriori occasioni d’incontro Ti invio i migliori saluti.

Gianluigi Granero