Il confronto e la mediazione come valore capace di produrre efficienza.
Spesso mi trovo a riflettere sull’efficienza ed efficacia delle nostre istituzioni pubbliche che, ad ogni livello, paiono incapaci di gestire la complessità in cui siamo immersi.
Credo che sia possibile che tutti, anche noi cittadini con le scelte referendarie ed io stesso nelle diverse funzioni che ho avuto la fortuna di ricoprire, abbiamo commesso un errore: alla complessità abbiamo e stiamo rispondendo cercando di semplificare i processi decisionali. Conseguenza di questa scelta è il diffuso indebolimento, a tutti i livelli, delle assemblee elettive.
Basta aver assistito, nei decenni scorsi, a una qualsiasi seduta di un Consiglio Comunale di un paese grande o piccolo per rendersi conto di come il raffronto con l’oggi sia impietoso, ma di chi è la colpa? Di chi vi si impegna? No di certo!
Il problema investe il funzionamento di tutte le istituzioni ma è talmente vasto che mi soffermerò, per ora, solo sulle istituzioni centrali. Di sicuro un analogo ragionamento potrebbe essere fatto per comuni e regioni.
Consentitemi però un inciso: da troppo tempo non trovo spazio per scrivere, che significa anche leggere, cogliere spunti e condividere riflessioni. Cercherò quindi di scrivere a “puntate” aggiungendo via via approfondimenti e riflessioni senza la pretesa di un lavoro, che seppur piccolo, sia “compiuto”. Insomma una sorta di mappa in divenire. Vi sarò grato se con le vostre riflessioni e suggerimenti vorrete contribuire.
La sintesi del ragionamento che proverò a sviluppare e che l’indebolimento delle assemblee elettive, lungi dal produrre rapidità di decisione ed efficienza, produca shortermismo ovvero l’incapacità di sviluppare un pensiero strategico, di medio-lungo periodo, che sia condiviso e che la mancanza di condivisione sia una delle cause, se non la causa, dell’inefficacia dell’azione politica.
Nello stesso tempo ciò concorre all’indebolimento complessivo della qualità delle nostre istituzioni e più in generale della classe dirigente, non solo quella politica! Troppo facile chiamarsi e fuori e dare sempre la colpa agli “altri”.
Le decisioni, per essere efficaci, dopo essere state assunte devono scendere “per li rami” della società, del sistema produttivo, dei diversi livelli di governo, insomma devono diventare obiettivo condiviso e perseguito dai cittadini e dal complesso delle articolazioni sociali per divenire fatto ed azione.
Se il mio ragionamento è corretto, significa che il processo di assunzione della decisione è già parte del risultato e non, come troppo semplicisticamente abbiamo teso a pensare negli ultimi anni, perdita di tempo.
Un facile esempio d’inefficienza ed inefficacia sono le “fantomatiche” riforme che tendenzialmente si enunciano, ma non si fanno e quando si fanno vengono immediatamente messe in discussione al cambio di colore politico del Governo. Perché le riforme per essere “strutturali” non possono che essere condivise e non solo tra forze politiche ma anche con le forze sociali e produttive. Lungo, difficile, ma probabilmente assai più efficace e duraturo.
Siamo indiscutibilmente di fronte ad un indebolimento delle funzioni del Parlamento attraverso il crescente ricorso ai decreti legge, messo in atto da tutti i Governi, indipendentemente dalle maggioranze che li hanno espressi. Richiamo qui alcuni dati di Openpolis che suffragano questo ragionamento e forniscono un quadro assai chiaro.
Inoltre siamo sempre più di fronte ad una produzione legislativa ipertrofica e di dettaglio a causa di molti e complessi fattori, interessante a questo proposito le riflessioni di Giovanni Legnini e Daniele Piccione che vi riporto qui.
Alcune delle cause di tutto ciò, che ora mi limito a citare con l’intento poi di riuscire ad approfondirne almeno alcune, sono:
– la crisi (o fine?) dei partiti che, tra le altre cose, garantivano la formazione della classe dirigente e, per lungo tempo, una positiva osmosi e permeabilità delle istituzioni con la società, con il mondo della rappresentanza, con i ceti produttivi e le professioni (insomma con gli interessi reali del Paese che nella mediazione politica si facevano interesse generale);
– il complesso equilibrio con i necessari, e auspicabilmente crescenti, poteri sovranazionali segnatamente quelli europei e, più in generale, l’impatto della globalizzazione. Sempre meno, anzi forse per nulla, si può agire nel solo ambito nazionale peraltro in un contesto di tensioni geopolitiche globali crescenti;
– l’impatto delle tecnologie (non solo ma anche nella comunicazione) e la necessità di decisioni rapide;
– la crisi ambientale e nuove sfide globali;
– la crescita delle diseguaglianze e del senso d’insicurezza e impotenza.
Invertire la rotta è complesso ma necessario.
Cosa ne pensate?
Credo che la realtà sia ancora più impietosa. Credo sia giusto parlarne per poter dare una visione di futuro di cmque una tipologia organizzativa che funzioni, non necessariamente politica, visto il livello.
Probabilmente è giusto indagare tutte le forme di partecipazione che in sé sono politica, anche questa è una possibile pista di approfondimento.
Gianluigi, privare i cittadini della possibilità di scegliere attraverso le preferenze i propri rappresentanti ha creato assemblee deboli, scollegate dal territorio e asservite ai vertici dei partiti. Come affermava Montesquieu, “il potere deve arrestare il potere”: senza un controllo diretto da parte degli elettori, la rappresentanza politica si svuota di significato.
Senza voto di preferenza, i parlamentari rispondono solo ai leader di partito, non agli elettori. Questo sistema ha favorito candidature imposte dall’alto e una classe politica selezionata per fedeltà, non per merito. Secondo Norberto Bobbio, “la democrazia è il governo del potere pubblico in pubblico”, ma oggi il processo di selezione politica avviene a porte chiuse.
Si è spezzato il legame tra eletti e cittadini, alimentando la sfiducia nella politica. Reintrodurre il voto di preferenza significherebbe restituire potere e valore agli elettori, incentivare la competenza e rafforzare la democrazia, oggi più che mai sotto attacco. “La libertà è la suprema difesa contro la tirannia” ammoniva Tocqueville: difendere il voto di preferenza significa difendere la libertà di scegliere chi ci governa. Ma già parlarne è un grande atto rivoluzionario. Buona domenica.
Caro Carmelo, intanto grazie per il commento e il contributo alla discussione. Hai certamente ragione nell’affermare che il sistema elettorale ha un grande peso sul funzionamento delle istituzioni. Se il ragionamento che ho avanzato è fondato anche il mito della “stabilità” andrebbe verificato sulla base dell’efficacia delle politiche più che sulla durata del mandato (qui forse l’esperienza dei sindaci potrebbe venirci utile grazie all’indiscutibile stabilità e alla dubbia efficacia media del governo locale). Sistema proporzionale e preferenze sembrerebbero rispondere meglio all’assunto da cui siamo partiti, ma dobbiamo anche riflettere sul fatto che i tentativi di riforma sono figli della crisi della politica che, forse, hanno accelerato ma non generato. A mio avviso, c’è qualcosa di più profondo che va indagato se vogliamo ricostruire degli spazi di dibattito pubblico. E’ possibile farlo in assenza dei partiti? I partiti attuali hanno una possibile evoluzione, che senza guardare al passato che certamente non tornerà, possa essere generativa per le democrazie e le società contemporanee? Si lo so, troppe domande cui cercare le risposte. Parliamone!